La visione "occidentale" del mondo è basata sulla priorità dell'individuo come costituente base della società, vista come un insieme di individui con uguali diritti e doveri, independentemente da ogni altra caratteristica. Questo attribuzione all'individuo di diritti fondamentali ed inviolabili è il fondamento di molte delle costituzioni dei paesi occidentali, nonché della percezione di sé di ciascun cittadino o cittadina di un paese occidentale.

Non vi è però dubbio che tale visione del mondo sia tutt'altro che universale, sia dal punto di vista temporale che spaziale. In molte società, sia passate che attuali, i propri diritti e doveri sono o sono stati determinati dall'essere membro di un gruppo, che sia esso una famiglia, un gruppo etnico, una tribù, etc. e non dall'essere individuo in quanto tale.

Nel mondo antico indubbiamente il concetto di diritti individuali era inesistente. Che nasceva schiavo certamente godeva ben pochi diritti, ed il suo essere schiavo era, come scriveva ad esempio Aristotele, la sua condizione naturale. Com'era condizione naturale essere donna, moglie, o figlio, tutte figure su cui il pater familias aveva un'autorità praticamente assoluta.

Nel libro l'autore traccia la nascita e l'evoluzione del concetto di "individuo" nella cultura occidentale, dall'antichità (ovvero il mondo greco-romano) fino all'inizio del Rinascimento. La tesi, interessante nonché per certi versi soprendente, dell'autore è che l'evento chiave per la nascita del concetto di diritti universali e quindi di "individuo", sia stata la nascita e l'affermazione del cristianesimo in Europa. Questa tesi desterà certamente i sospetti di tutti coloro la cui formazione intellettuale è basata sull'eredità dell'Illuminismo, che certamente è stato fortemente infleunzato sull'anticlericalismo.

La tesi dell'autore risulta interessante, ed è ben argomentata, anche se l'analisi del mondo antico è (probabilmente inevitabilmente, visto che non è l'argomento principale del libro) semplicistica. Mentre non dubito che la sua conoscenza e comprensione degli aspetti legali e giuridici delle società greche e romane sia ottime, sulla scienza antica la sua visione è superficiale. Quando ad esempio parla del "cosmo antico" (nel capitolo 3), sembra ignorare (nel senso di non conoscere) la complessità della visione ellenistica della scienza e del cosmo. Anche se menziona brevemente la cosmografia eliocentrica, la considera quasi come una fluttuazione anomala della mente antica. Per un grande fan dell'opera di Lucio Russo quale il sottoscritto, si tratta di un'opinione al meglio superficiale. Peraltro il punto è marginale rispetto alla tesi del libro, anche se accettare il livello elevato della scienza ellenistica conduce probabilmente ad una visione meno "progressista" (o "Whig") della storia (i.e., la storia può tornare indietro, sia nella scienza che nello sviluppo del liberalismo) di quanto l'autore probabilmente non sia disposto ad intrattenere.

Un punto interessante citato dall'autore nella sua discussione del "mondo antico" è la breve menzione della mancanza, nel greco omerico, di una parola per esprimere il concetto di "intenzione" (p. 35, nota 7). Qualche decennio fa Julian Barnes, un visionario psicologo di Princeton, sostenette che l'acquisizione dell coscienza di sé è un evento relativamente recente nella storia dell'umanità, al punto da ritenere privi di "autocoscienza" coloro che vivevano nelle grandi società teocratiche del passato, dall'Egitto faraonico all'impero Inca alla Grecia omerica.

Questi punti sono comunque marginali rispetto alla tesi centrale dell'autore, ovvero che il monoteismo cattolico, insieme al messaggio universale dello stesso, sia alla base dello sviluppo del concetto di individualità, passando attraverso il concetto dell'uguaglianza di base universale fra tutti gli esseri umani. Il Dio della cristianità è effettivamente il primo a giudicare sulla stessa base, senza differenze o pregiudizi, tutti gli uomini, di qualsiasi ceto sociale, razza o cultura. Il Dio dell'ebraismo aveva ad esempio un "popolo eletto", e gli dei pagani erano dei di una città o di una comunità. Le comunità monastiche sono state le prime ad essere comunità di uguali indipendentemente dal ceto e dalla nascita, e le prime a poter scegliere al proprio interno il proprio leader (ovvero l'abate), e questi fatti nuovi avrebbero influenzato a loro volta la "società civile", gettando le basi della nascita del concetto di individuo.

La tesi è certamente sensata e non priva di una sua solidità, nonché arguia con intelligenza e capacità. Fa però porre la domanda di come mai il messaggio islamico, altrettanto se non più monoteista ed universalista di quello cattolico, non abbia avuto un effetto paragonabile nella parte del mondo in cui si è diffuso.

Un punto che meriterebbe un'analisi più approfondità è l'evoluzione, in gran parte parallela e coeva a quella della concezione di individuo discussa dall'autore, della creazione artistica. Nello stesso periodo (ovvero il medioevo ed il Rinascimento) l'arte passa dall'essere la creazione anonima di un artigiano privo di individualità, ad essere la creazione di una figura nuova, appunto l'artista, che per la prima volta si firma, che è un individuo e non più in primis il membro di un gruppo, di un "guild". Se sia stata l'arte ad influenzare l'evoluzione del concetto di individuo, o se piuttosto gli artisti, avendo acquisito una nuova coscienza di sé abbiano iniziato a perseguire una diversa visione della creazione artistica, è un tema che meriterebbe di essere discusso ed analizzato.

Più in generale, il Rinascimento riceve scarsa, troppo scarsa attenzione nell'ultima parte del libro -- mentre probabilmente un'analisi approfondita del Rinascimento non è indispensabile per la tesi centrale dell'autore, cionondimeno avrebbe costituito una conclusione naturale del viaggio intellettuale in cui l'autore guida con abilità il lettore.

Sia pure con questi limiti, si tratta di uno saggio che offre una visione nuova, non scontata, rispetto al "chi siamo" come uomini e donne occidentali, e che merita di essere letto (anche grazie al fatto di essere scritto in maniera ragionevolmente scorrevole) soprattutto in un momento in cui l'identità occidentale sembra essere molto in crisi.