In questi giorni, alla Tate Britain a Londra vi è una splendida mostra di foto di Don McCullin. È una mostra che merita di essere visitata, a più livelli. McCullin, è famoso come fotografo di guerra, e alcune delle sue immagini sono vere icone di un ventesimo secolo difficile e pieno di sofferenza. Le sue immagini del Vietnam sono diventate parte della coscienza collettiva rispetto a quel conflitto, e la sua più che celebre foto di un Marine sotto shock dice più di mille saggi sugli orrori della guerra. Lo stesso può dirsi delle sue foto del Libano, o del Biafra, o della guerra civile a Cipro, o in Irlanda del Nord. La Tate è una pinacoteca, e sebbene nessuna delle immagini scattate da McCullin nei vari conflitti che lui ha testimoniato sia stata "composta" (anche perché spesso scattate in situazioni di reale pericolo), molte delle foto hanno una valenza artistica eccezionale. E ciò sebbene McCullin, giustamente, rifiuti l'etichetta di arte per qualcosa che è, in primo luogo, una testimonianza dell'altrui sofferenza.

È impossibile visitare la mostra senza esserne colpiti nel profondo, e senza notare come chi ha scattato queste foto ha una capacità profonda di empatizzare con i propri soggetti, di sentire dentro di sé la sofferenza che ritrae. Chi riesce a rappresentare la sofferenza umana per anni, senza mai diventarne immune, non può che essere una persona profonda. Qualcuno che ha qualcosa da dire, per usare un'espressione banale.

Sulla base di queste riflessioni, non ho potuto fare a meno di acquistare, all'uscita dalla mostra, l'autobiografia dello stesso McCullin. È il documento di una vita che non esito a definire eccezionale, di qualcuno nato nella povertà abietta della Londra popolare d'anteguerra, in condizioni che possono essere definite dickensiane, e che per una serie di circostanze fortunate unite ad una forza di volontà sicuramente ferrea è diventato un testimone globale.

Oltre a fotografare splendidamente, McCullin scrive anche bene, senza mai un briciolo di autocompiacimento, anzi mettendo continuamente in evidenza i propri umanissimi limiti, e tutti gli errori compiuti nelle proprie scelte personali. Viene fuori, nella sua terza età, una persona che ha finalmente, all'alba degli ottant'anni, trovato una serenità che gli è mancata in precedenza, e che è sicuramente stato inseguito per una vita da demoni interiori, demoni che però sono indubbiamente anche stati uno sprone a far cose che spesso appaiono, come dice il titolo, irragionevoli, ma che hanno prodotto delle fotografie eccezionali.

Il risultato è un libro che si legge come un romanzo d'avventure ma che è una testimonianza profonda di una vita passata a cercare di scuotere il mondo dal torpore e dall'inazione di fronte ad ingiustizie e sofferenza. E, anche se l'autore si proclama ripetutament ateo, in ogni pagina viene fuori una spiritualità tanto profonda quando probabilmente tormentata. Ho voltato l'ultima pagina augurando dentro di me all'autore una vecchiaia lunga e serena, e ringraziandolo per averci fatto vedere allo stesso tempo quanto può essere crudele l'umanità e quanto può essere profonda.