La mia recensione de L'armata dei sonnambuli che avevo pubblicato su aNobii ha meritato, con mia sincera sorpresa, una risposta pressocché immediata di uno degli autori di Wu Ming, che riporto qui di seguito per completezza. Pubblico anche la mia risposta al commento, commento che a mio modesto avviso mi attribuisce una serie di intenzioni che non sono mie, e che mostra una suscettibilità inattesa...


Ciao Alfredo,

naturalmente de gustibus, però segnalo che è fallace e del tutto infondata la premessa da cui parti, cioè che noi con l'Armata avremmo "tentato la stessa operazione di Q".

Chi ci ha seguiti anche dopo e oltre Q, nei quindici anni che separano l'uscita di Q da quella dell'Armata, e ha letto i libri che abbiamo scritto lungo il percorso, e magari ha visto delle presentazioni e letto qualche intervista, sa benissimo che noi da tanto tempo ci sentiamo e siamo lontanissimi da Q.

Q è un libro che molti mitizzano (forse perché lo associano alla loro gioventù), ma noi che lo abbiamo immaginato e scritto, pur ritenendolo una tappa fondamentale del nostro cammino, lo abbiamo sottoposto a dure critiche che non è il caso di riepilogare in questa sede.

È un dato di fatto abbastanza conosciuto ed evidente che, da molto tempo, noi facciamo tutto il possibile per NON scrivere un "nuovo Q" o un libro come Q o sulla falsariga di Q o quant'altro. Non ci interessa, non ci stimola, anzi, l'idea ci nausea. Con Q abbiamo già dato, i conti li abbiamo chiusi con Altai, che funzionava anche come decostruzione di Q.

L'Armata dei sonnambuli deve moltissimo a 54 e Manituana, ma non somiglia in nulla a Q, e dal nostro punto di vista, per fortuna!

Naturalmente, ogni lettore ha il diritto di affezionarsi al libro che gli pare. Quel che è sbagliato è contestare a noi autori un presunto tentativo di riscriverlo o imitarlo, quando quest'opzione è da noi considerata con puro disgusto.

Wu Ming Foundation, 14 Ottobre 2014


Inutile dire che, da "recensore dilettante" quale sono, sono stato estremamente onorato dell'immediata attenzione che uno degli autori del libro recensito mi rivolge. Sono allo stesso tempo stato molto sorpreso dalla suscettibilità che l'autore stesso (anonimo, ma tant'é) dimostra. Chiaramente la mia recensione ha toccato una corda sensibile nell'animo dell'autore, anzi, temo, un vero e proprio nervo scoperto.

Suscettibilità intrecciata con un non trascurabile narcisismo, evidente nell'affermare che È un dato di fatto abbastanza conosciuto ed evidente che, da molto tempo, noi facciamo tutto il possibile per NON scrivere un "nuovo Q"... Sono contento che gli autori si considerino così celebri da ritenere che il proprio percorso interiore, le proprie intenzioni siano "abbastanza conosciute", anzi, addirittura "evidenti". Con tutta la simpatia che posso avere nei loro confronti, mi trovo costretto a deluderli: la stragrande maggioranza della popolazione non conosce in alcun modo ciò che essi fanno a non fanno, ciò che essi vorrebbero fare o ritengono di star facendo. Ovvero, quali sono le loro intenzioni. Alcuni di noi, ogni tanto, leggono un loro libro (pratica in cui personalmente non credo che indulgerò ulteriormente...) e da quel libro, e solo da quello, possono farsi un'opinione. La mia opinione è quindi basata solo ed esclusivamente sulla lettura del libro. Non so attraverso quali canali mi sarebbe dovuto essere "conosciuto ed evidente" quali fossero le loro intenzioni nello scrivere il libro, né intendo basarmi su altro che non sia il libro.

Trovo peraltro che il dichiararsi lontanissimi dal proprio unico libro di successo, anzi, dichiarare di trovarlo estremamente criticabile, sia un atteggiamento di grande vezzosità intellettuale. Atteggiamento che mi fa domandare se, per coerenza intellettuale ed etica gli autori abbiano donato a qualche organizzazione benefica i proventi (i diritti d'autore) derivanti dall'oltre mezzo milione di copie che Q ha venduto.

Trovo anche interessante osservare come questa esibita vezzosità intellettuale non sia coerentemente esibita liddove questa potrebbe intaccare le vendite dei libri. Ad esempio, la fascetta che adornava una delle edizioni di un loro predecente libro, Altai, recitava "UNA BOIATA, PROPRIO COME Q. -- LIBERO". Una citazione tratta da una pubblicazione che gli autori ovviamente disistimano, ma che è ben lungi da costituire una critica, un distacco, da Q. Piuttosto, la fascetta è un modo chiarissimo di dichiarare che, se al potenziale compratore era piaciuto Q, sarebbe piaciuto anche Altai. Si chiama, questa, pubblicità. Legittima, ovviamente, che però contribuiscere a rendere un po' grottesca l'esibizione di altezzoso ripudio di Q da parte degli autori, uno dei quali mi scrive che "i conti li abbiamo chiusi con Altai, che funzionava anche come decostruzione di Q". Non esattamente ciò che recitava la fascetta con cui di Altai cercavano di vendere (legittimamente, ripeto) quante più copie possibili. Evidentemente anche nei circoli intellettuali più alti e puri portafogli e coerenza sono difficili da riconciliare.

Il nostro autore sembra disconoscere il diritto all'opinione del lettore (il sottoscritto in questo caso), ovvero di ammettere che il lettore possa legittimamente trovare che L'armata abbia molte somiglianze con Q. Un'affermazione tranchante come "L'Armata dei sonnambuli [...] non somiglia in nulla a Q" non lascia possibilità di appello, e il corollario inevitabile è che se il lettore continua a ritenere che invece sia vero il contrario è il lettore ad avere un problema. Il fatto che si possano avere delle differenze di opinione senza bisogno di aggredirsi, ovvero, come si dice in inglese, che si possa "agree to disagree", sembra non appartenere alla visione culturare del nostro autore. La posizione sembra essere "io ho ragione e tu hai torto, punto." Viva la tolleranza...

Infine, come evidente approccio per mettere a tacere ogni critica, l'autore dichiara, un po' fra le righe, che Q è un libro che chi scrive mitizza perché gli ricorda la propria gioventù (ci mancava solo il coté psicanalitico...). Per chiarezza: Q è l'unico libro da voi scritto che al sottoscritto è piaciuto. Il sottoscritto ha anche provato a leggerne un'altro, oltre a L'armata e l'ha lasciato a metà. Che vi piaccia o meno Q è l'unico libro che avete scritto che ha avuto successo. Gli altri non hanno venduto (scusate la schiettezza...). Ovviamente vi è una certa vezzosità intellettuale nel ritenere che le vendite di un libro siano anticorrelate con le sue vere qualità (ovvero meno un libro vende più elevato deve essere il suo valore intellettuale). A me sembra un atteggiamento spocchioso...